Ogni luce di democrazia che si accende ci riguarda
Si sta svolgendo in queste settimane la campagna della Fiom-Cgil – a cui le donne della Fiom contribuiscono con una propria riflessione - per raccogliere le firme a sostegno di una proposta di legge d’iniziativa popolare sulla democrazia nei posti di lavoro per affermare il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di decidere su contratti e accordi che riguardano le loro condizioni di lavoro e di vita, e garantire una reale rappresentatività e rappresentanza delle organizzazioni sindacali che firmano e aderiscono alle intese evitando che accordi nazionali e nei diversi ambiti possano prescindere dalla partecipazione e dal voto delle lavoratrici e dei lavoratori.
Questa iniziativa ci interessa perché ogni luce di democrazia che si accende ci riguarda soprattutto in una fase nella quale si assiste al restringimento di forme e luoghi che hanno consentito e consentono un esercizio esteso e attivo dei diritti in molti campi, che per noi è condizione essenziale anche per esprimere una soggettività femminile.
Il rapporto tra diritti e crisi della democrazia riapre in modo acuto e per certi versi nuovo anche il tema della rappresentanza: nel mondo del lavoro dove sono in atto da tempo tentativi di indebolire e frammentare sistemi di tutele e dove soprattutto sono cresciute, al nord come al sud, situazioni di precarietà e sfruttamento che toccano centinaia di migliaia di donne, giovani, immigrati e immigrate che non dispongono di adeguate forme di rappresentanza per la tutela dei loro diritti; ma anche in molti altri ambiti come quello della salute, dell’istruzione, dei diritti sociali.
Riportare democrazia, partecipazione, adeguata rappresentanza nei luoghi di lavoro significa poter decidere sulle questioni che interessano lavoratrici e lavoratori: sull’aumento dell’età pensionabile che, dopo le dipendenti pubbliche, potrebbe essere imposto a tutte; sulla nuova legge sul lavoro, in discussione in Parlamento, che prevede assunzioni con contratti individuali, che potranno contenere clausole peggiorative rispetto ai contratti nazionali e rendere più facili i licenziamenti, il cui contenzioso sarebbe affidato non più ai giudici, ma ad arbitri privati. Tutto ciò per le donne può significare la possibilità di licenziamento in caso di gravidanza o quando si vogliono utilizzare permessi e congedi per assistenza ai figli, agli anziani e alle persone disabili.
Ma parlare di democrazia nel lavoro, come recita la nostra Costituzione, significa anche adeguare e allargare ambiti e modalità delle forme di tutela e rappresentanza rispetto alle tante situazioni di lavoro, anche precario , in primo luogo assumendo fino in fondo la nuova presenza delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati come dato stabile e positivo per tutto il paese.
Significa anche impegnarsi nuovamente nei luoghi di lavoro e sui territori, native e immigrate insieme, per riaffermare il diritto a servizi sociali che favoriscono la conciliazione, a una scuola di tutte e tutti.
La possibilità di esprimersi, elaborare proposte, confrontarsi, decidere interessa in particolare le donne, oggi ancora discriminate su molti aspetti, ancora una volta penalizzate dalla crisi e da un ritorno strumentale di orientamenti familistici. Interessa quindi tutte noi: più democrazia per poter lottare contro la disoccupazione, la precarietà del e nel lavoro, contro le norme razziste della recente legislazione ( legge 94 del 15 luglio 2009) denominata “pacchetto sicurezza”. Sicurezza per chi? Queste norme che rendono insicura e precaria la vita di tante donne e uomini migranti - sempre sotto ricatto di essere espulsi, di perdere o non acquisire il permesso di soggiorno, come anche le recenti misure per la regolarizzazione di colf e “badanti” dimostrano - rendono forse più sicura la vita di tutti gli altri? La sicurezza delle persone non va piuttosto garantita nelle condizioni di lavoro, nella tutela dell’ambiente, nell’accesso ai servizi e beni comuni, nel contrasto alle violenze e alla criminalità organizzata?
Le politiche discriminatorie e razziste colpiscono tutte e tutti, perché cercano di dividere e rompere i rapporti di solidarietà tra le persone, alimentando la paura e i pregiudizi: contro “lo straniero e il diverso”, “contro chi ci porta via il lavoro, perché accetta condizioni peggiori”, “contro chi viene prima di noi nell’assegnazione delle case, nell’accesso ai servizi” ecc. Il risultato è una drammatica disgregazione degli interessi comuni, una guerra tra poveri, una democrazia dimezzata, una società chiusa e escludente, in cui tutte, native e migranti, stentiamo a riconoscerci. Sempre di più ci sentiamo straniere nell’Italia di oggi.
La cittadinanza non è solo una questione di leggi e disposizioni per poterla acquisire – in Italia, come sappiamo, le difficoltà sono enormi, a partire dal permesso di soggiorno - ma è soprattutto un percorso soggettivo, una pratica di convivenza rispettosa dei diversi progetti personali. Democrazia è riconoscere la pluralità di questi percorsi. In questi anni abbiamo lavorato in tante, per abbattere muri e frontiere, per aprire il nostro paese al mondo e alla ricchezza delle tante diversità.
Il riconoscimento dei diritti politici e sociali dei/delle migranti, compresi quelli di cittadinanza, può contribuire a promuovere una cultura di convivenza civile e ad individuare strumenti per combattere ogni forma di razzismo e discriminazione.
Le donne migranti sono state protagoniste e promotrici delle iniziative di mobilitazione, hanno tessuto relazioni importanti per la riuscita della giornata “24 ore senza di noi” e della “primavera antirazzista” del mese di marzo.
Questi temi e queste esigenze chiamano ad una particolare responsabilità le donne a partire dai diversi ambiti e luoghi di lavoro perché si determinino, anche a partire dalla iniziativa promossa dalle donne della FIOM, a costruire un percorso di mobilitazione e di proposte comuni.
Per questo aderiamo alla proposta di legge di iniziativa popolare e riteniamo importante che sempre più donne la sottoscrivano.
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